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Approfondimenti | Perché invecchiamo?





La scienza dice che il nostro corpo ha enormi capacità di autoripararsi, ma allora perché invecchiamo?

Secondo una teoria, tutto è genetica: le nostre cellule sono programmate per farci crescere e poi, raggiunto un certo momento, per farci morire. Ma un’altra teoria che sta diventando sempre più popolare sostiene che il nostro DNA subisce continui attacchi e danneggiamenti provocati dalle reazioni ossidative che hanno luogo quando metabolizziamo il cibo; più invecchiamo, più il danno - che è cumulativo - raggiunge una massa critica e le nostre cellule usurate si suicidano, portandoci con loro. Questa teoria è stata ulteriormente rinforzata dalle ricerche di un gruppo di scienziati olandesi dell’università di Rotterdam. L’équipe del dr. De Boer ha creato dei topi mutanti che invecchiavano prematuramente a causa dell’accumulo di danni nel DNA; in particolare, i topi avevano un difetto in un enzima chiamato elicasi, quello responsabile della separazione dei segmenti di DNA. Alla nascita i topi mutanti erano identici a qualsiasi altro topo, ma dopo tre mesi il loro mantello cominciava a ingrigire, la pelle raggrinziva e quasi tutti i mutanti diventavano sterili. Entro il quattordicesimo mese di vita - la vita media di un topo è di 2 anni - i sopravvissuti avevano l’osteoporosi, e i loro musi si erano rinsecchiti e affilati.

Tra gli scienziati che ritengono che i danni al DNA provochino l’invecchiamento alcuni suggeriscono che invecchiamo perché il nostro sistema di autoriparazione si rompe, mentre secondo altri invecchiando noi accumuliamo una tale quantità di danni che il meccanismo di riparazione non riesce più a stare al passo. Lo studio di De Boer fornisce una risposta intermedia, perché ad alcuni dei suoi topi mancava non solo l’enzima elicasi, ma anche una parte della capacità di riparare il DNA. Tutti questi topi sono invecchiati così velocemente da morire entro la terza settimana di vita, ma quello che più importa è che le loro cellule esposte ai raggi X e a un comune erbicida morivano molto prima di quelle estratte dai topi con una sola mutazione. Il risultato delle ricerche di De Boer è coerente con gli altri studi che hanno dimostrato che mangiare di meno fa vivere di più. Le scimmie nutrite tre volte meno di una scimmia normale sopravvivono ai propri figli, e questo sembra suggerire che lo stesso principio potrebbe essere valido anche per gli esseri umani. Resta da dimostrare in che modo le diete a bassissimo tenore calorico allunghino la vita, ma le prove indicano che in effetti riducono i danni al DNA. Meno si mangia, meno il corpo deve metabolizzare alimenti, meno ci sono reazioni ossidative che danneggiano il DNA. Tuttavia, la controversia è aperta: il danno al DNA è veramente il responsabile dell’invecchiamento? Sicuramente il DNA finisce per venire sconfitto dal tempo che passa e questo si riflette sul corpo, ma secondo alcuni scienziati l’invecchiamento fisico è proprio il risultato della lotta delle cellule per riparare i danni.

La gerontologia viene spesso descritta nei termini delle sue più importanti teorie, che si dividono in due correnti principali: le teorie che pongono l’accento sull’orologio biologico interno, e quelle che si riferiscono ai danni esterni o ambientali che danneggiano organi e cellule fino a impedirne il funzionamento adeguato. Possiamo dividere il processo di invecchiamento in tre categorie generali – l’invecchiamento genetico, l’invecchiamento biochimico, e l’invecchiamento fisiologico. Secondo le teorie dell’invecchiamento programmato, l’invecchiamento ubbidisce a una programmazione biologica, la stessa che regola l’infanzia e la crescita; secondo le teorie del danno o dell’errore, sono invece gli assalti ambientali al nostro corpo quelli che gradualmente fanno peggiorare le cose. Per quanto diverse, però, molte teorie non si escludono a vicenda. Queste sono alcune tra le più diffuse e studiate:

> invecchiamento programmato

  • senescenza programmata. L’invecchiamento è il risultato dell’accensione e dello spegnimento sequenziale di alcuni geni, e la senescenza è il momento in cui si manifestano i deficit associati all’età
    • teoria endocrina. Gli orologi biologici agiscono attraverso gli ormoni controllando la velocità di invecchiamento
    • teoria immunologica. Un declino programmato del sistema immunitario conduce a un’accresciuta vulnerabilità alle infezioni, provocando malattia e morte
  • teorie dell’errore
    • usura. Le cellule e i tessuti contengono parti vitali che si usurano
    • tasso di vita. Più è grande il tasso del metabolismo basale dell’ossigeno, più breve è la durata della vita
    • radicali liberi. Il danno cumulativo indotto dai radicali liberi provoca il deterioramento e l’arresto delle funzioni cellulari e organiche
    • errore catastrofico. Il danno intervenuto nei meccanismi che sintetizzano le proteine induce la produzione di proteine errate che si accumulano fino al punto in cui provocano un danno catastrofico e irreversibile alle cellule, ai tessuti e agli organi
    • mutazione somatica. Le mutazioni che intervengono e si accumulano con l’età provocano il deterioramento e il malfunzionamento delle cellule

Longevo come un verme
Basta modificare un solo gene di un verme per farlo vivere due volte più a lungo, e il bello è che questo gene è presente anche negli esseri umani. Si aprono nuove speranze? Il Caenorhabditis elegans, o C.elegans, è interessante perché la sua vita dura solo quattro settimane perciò i risultati degli esperimenti sono osservabili molto velocemente. E proprio lo studio approfondito di questo verme è valso al biologo inglese John Sulston il premio Nobel per la medicina. Più i biologi studiano il C. elegans, più si stupiscono delle somiglianze tra lui e noi. Un’équipe di studio americana scrive in Nature che a sole due settimane di vita, cioè quando è già adulto, il C.elegans è già colpito dagli stessi problemi muscolari che tormentano gli umani a partire dai quarant’anni, e un altro gruppo di scienziati americani sta per dimostrare che è possibile ritardare la comparsa di questi disturbi e raddoppiare l’aspettativa di vita del verme modificando un solo gene. Non è la prima volta che il C.elegans gode delle luci della ribalta scientifica: già nel 1996 i ricercatori dell’Università McGill di Montréal avevano identificato i geni collegati al suo orologio biologico ed erano riusciti, nei casi più estremi, ad allungare di sette volte la sua vita. Tuttavia, questo “miracolo” aveva dei costi enormi: il verme non si muoveva praticamente più, non riusciva più a mangiare, non svolgeva alcuna attività e ovviamente non si riproduceva più. Questa volta, però, a cinque anni di distanza dall’esperimento precedente, gli effetti secondari della manipolazione genetica non sono più così gravi, sostiene Cynthia Kenyon in Science: il problema era infatti rappresentato solo da un errore di timing, cioè del momento della vita del C.elegans in cui il gene viene ridotto al silenzio. Infatti, bloccare questo gene dopo che il verme ha raggiunto l’età adulta aumenta la sua speranza di vita senza intaccare le sue capacità riproduttive. Intervistata dalla BBC, Monica Driscoll, che sta conducendo una ricerca parallela all’Università Rutgers, spiega che gli esperimenti condotti sul verme non significano che anche nell’uomo si potrà allungare la vita di sette volte, ma che forse si è trovata una strada che ci può aiutare a vivere con muscoli più sani per un tempo più lungo. E la dottoressa Kenyon aggiunge in New Scientist che il fatto che il C.elegans non sembri più avere problemi riproduttivi non significa che altri disturbi, meno evidenti, non siano comparsi nella sua biologia.

Vivere più a lungo: le calorie che contano
Con altri 8 scienziati, Roy Walford si è rinchiuso per due anni nella Biosfera 2 in mezzo al deserto, e ha sperimentato su se stesso la dieta allunga-vita. A bassissimo tenore calorico (circa 1.400 kcal/giorno per gli esseri umani), adattata ai ratti la cosiddetta CR (Calorie Restriction) ha prodotto sui topi di laboratorio risultati stupefacenti: non solo la loro vita è passata da 39 mesi a 56, ma la loro risposta ai test delle abilità mentali e fisiche, il loro livello di zuccheri, di insulina e di grassi nel sangue, la pressione arteriosa e più o meno tutti i loro parametri fisiologici corrispondevano a quelli di topi cronologicamente molto, molto più giovani. L’autosperimentazione di Walford non può confermare che i risultati ottenuti sui topi (anche se già confermati negli esperimenti sui primati) sono replicabili anche nell’uomo con gli stessi stupefacenti risultati, ma il meccanismo della CR può essere interpretato alla luce delle più recenti teorie sull’invecchiamento:

  • la CR aumenta la capacità del corpo di riparare il DNA danneggiato
  • riduce senza alcun dubbio i danni provocati dai fenomeni ossidativi (radicali liberi)
  • aumenta i livelli di alcune proteine protettive e riparatrici
  • migliora il metabolismo glucosio-insulina
  • ritarda il declino immunologico legato all’età, come dimostrato da tutti i test di funzionalità

A questa nuova teoria gli studiosi americani hanno dato un nome interessante: denutrition not malnutrition

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