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L’omosessualità
L'orientamento sessuale si
definisce nel corso dell'adolescenza. Quello eterosessuale,
che corrisponde all'attrazione per persone di sesso diverso dal
proprio, è il più frequente. Esso segue una finalità biologica:
la sopravvivenza della specie attraverso la riproduzione. Tuttavia
vi sono molte persone che hanno un orientamento
omosessuale, sentendosi attratte emotivamente, fisicamente e
sessualmente da individui dello stesso sesso. L'omosessualità è
infatti una variante del
comportamento umano che si connota con il desiderio di amare,
desiderare, costruire e autoidentificarsi con persone dello stesso
sesso, e non esclusivamente con atti sessuali.
E'
quindi una condizione esistenziale con contenuti di affettività,
progettualità e di relazione.
Considerata per molto tempo come una malattia, una
perversione, le è stata tolta questa etichetta dalla psichiatria
a partire dalla metà degli anni ‘70. Via via, i codici
diagnostici psichiatrici se ne sono occupati, fino all'inizio
degli anni ‘90, per quella sua variante cosiddetta ego-distonica.
Veniva cioè considerata meritevole di attenzione clinica e
terapeutica quella condizione nella quale l'omosessualità non era
in sintonia con il vissuto profondo di un determinato soggetto,
creandogli uno stato di disagio e di tensione psichica.
Nell'ultima
edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali
(DSM-IV) l'omosessualità non
occupa più alcuna casella diagnostica. Questa posizione è stata
fatta propria anche dall'Organizzazione Mondiale della Sanità nel
1993. Così, sul
piano scientifico è stata posta fine alla criminalizzazione,
colpevolizzazione e medicalizzazione di questo frequente
comportamento umano. Malgrado ciò, permane un
atteggiamento discriminatorio e pregiudizievole di rifiuto,
condanna e patologizzazione dell'omosessualità. Questo
atteggiamento stratificato nella coscienza di figure importanti di
riferimento quali genitori, insegnanti, medici e sacerdoti
determina sensi di colpa e bassa autostima nelle persone che si
scoprono omosessuali, le quali si allontanano dal proprio sentire
per paura di essere rifiutate, o si condannano a vivere relazioni
senza libertà e in sintonia con le richieste di società e
cultura con ripercussioni psicologiche talvolta rilevanti.
L'omosessualità
è una realtà multiforme come
l'eterosessualità, in cui si differenziano comportamento,
orientamento e identità omosessuale. Il comportamento
omosessuale è l'attività, l'esperienza puramente fisica. L'orientamento
omosessuale è rappresentato dalla comparsa nella sfera
della coscienza di una preponderanza di sentimenti, pensieri
erotici e fantasie che riguardano un individuo dello stesso sesso.
L'identità consiste invece in un durevole
autoriconoscimento del sentire e vivere l'omosessualità.
Sull'origine
dell'omosessualità molte
sono le teorie, ma non si è giunti ad una conclusione certa ed
univoca. Negli anni ‘60 la ricerca del gene dell'omosessualità,
della sua determinazione genetica hanno avuto molto vigore, ma non
hanno portato a risultati che avvalorassero l'ipotesi. Sono stati
chiamati in causa anche fattori biologici, soprattutto ormonali.
Molto attiva è stata la ricerca sul livello di androgeni, in
particolare del testosterone. Anche in questo caso non si è
approdati a risultati convincenti. Ricche di evidenze, anche se
non del tutto esaustive, sono le ricerche del background
familiare e psicologico associato a questo orientamento sessuale.
Nelle famiglie, già nel 1962, Bieber aveva descritto il "Classical
triangular pattern" per lo sviluppo dell'omosessualità
maschile. Il quadro era composto da una madre iperprotettiva e
dominante e da un padre debole od ostile, oppure molto distante
fisicamente o psicologicamente dalle questioni di casa. Il figlio
è invece un soggetto che predilige giochi tranquilli, non incline
agli sport e all'attività fisica e molto legato alla madre, con
relazioni disturbate con fratelli e sorelle.
Anche
nello sviluppo dell'omosessualità
femminile la famiglia è stata considerata come fattore
predisponente. E' di tipo conflittuale, ancora con madri dominanti
e padri in grado di giocare solo ruoli subalterni e secondari. Al
contrario dei maschi, il loro comportamento da bambine è stato
descritto come di "maschiacci". In linea generale,
tuttavia, va rilevato che se il comportamento sessuale è molto più
determinato dalle esperienze e dall'apprendimento che da questioni
biologiche, occorre forse rifarsi a un modello di
multideterminazione. In esso si può vedere come l'identità
sessuale discenda da questioni biologiche, dalla percezione
dell'immagine di sé, dall'organizzazione del rapporto con il
proprio sé psichico e corporeo, da vicende familiare e da modelli
educativi ancora familiari, ma anche sociali. Senza dimenticare
tutto il bagaglio di esperienze che viene accumulato nello
scorrere dell'esistenza, soprattutto nel corso del suoi anni
"formativi".
L’omosessualità
maschile
La nostra cultura di
appartenenza ha determinato rigidamente durante i secoli ciò che
è maschile e ciò che è femminile, attribuendo maggiore valore
alle qualità tradizionalmente maschili e determinando fin
dall'infanzia ruoli sessuali ben definiti. Si deve quindi
considerare che l'omosessuale
maschio abbia dovuto imparare ad accettare emozioni e sensazioni
che la società solitamente non connota come maschili, trovandosi
a vivere e a sentire quella parte femminile doppiamente osteggiata
dalla cultura dominante. Di base l'omosessuale
maschio non tende alla promiscuità,
come è emerso dall'inchiesta Arcigay/Ispes del 1988. Fu
evidenziato infatti che il 90% degli omosessuali considerava il
rapporto di coppia come la migliore forma di relazione e il 41,5%
al momento della ricerca ne viveva una. Solo il 15,1% degli
intervistati nel 1990 in un sondaggio condotto dall'Arcigay in
collaborazione con l'Istituto Superiore di Sanità aveva vissuto
esperienze sessuali esclusivamente occasionali.
L’omosessualità
femminile
Non viene descritto un
modo univoco del sentire e dell'essere donna lesbica (dall'isola
di Lesbo dove risiedeva la poetessa Saffo che decantava in versi
l'amore tra donne). Ne vengono quindi descritte tre varianti:
lesbiche
separatiste
Per scelta ideologica
riducono al minimo le relazioni con uomini o con donne
eterosessuali e si impegnano culturalmente e politicamente contro
una società patriarcale e maschilista
lesbiche
"butch"
Donne omosessuali che apparentemente sembrano possedere
caratteristiche fisiche e psichiche maschili e il cui modo di
vestire tende a sminuire la loro femminilità
lesbiche
"femme"
Donne lesbiche più femminili che si curano, si truccano e si
ingioiellano. A questa distinzione peraltro non corrispondono
necessariamente comportamenti e ruoli sessuali attivo e passivo.
A
volte una o entrambe le donne di una coppia lesbica possono essere
bisessuali. Una
ricerca americana sull'identità sessuale lesbica ha rivelato che il
90% delle 323 lesbiche intervistate aveva avuto esperienze
eterosessuali e il 43% anche dopo essersi dichiarate lesbiche.
In molti ambienti omosessuali la persona bisessuale non viene
accettata di buon grado perché viene vista come incapace di
orientarsi definitivamente verso i reali desideri e tendenze, come
traditrice del mondo femminile o come potenziale veicolo di
trasmissione di malattie sessualmente trasmesse (AIDS). La
gelosia sembra connotare in maniera forte le relazioni lesbiche.
Secondo una ricerca americana, il 74% delle donne lesbiche si
dichiara gelosa contro il 35% dei gay. Il desiderio di maternità
nella donna lesbica spesso viene naturalmente soddisfatto. In
America infatti un terzo delle lesbiche sono madri e vivono con i
loro figli e altre si rivolgono all'inseminazione artificiale,
all'adozione o all'affidamento. Di converso le lesbiche
separatiste ritengono la maternità ed in particolare accogliere
spermatozoi nel proprio corpo, la gravidanza, il parto e
l'allattamento atti specificatamente eterosessuali, così che
questa scelta di procreazione non viene condivisa.
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